Il fotografo era convinto che le modelle fossero più rilassate con un’altra ragazza nello studio, e più docili a ciò che gli chiedeva di fare se le fotografava dopo mezzanotte. Ma loro, per lo più, erano discretamente disperate, e sarebbero state docili a qualsiasi ora del giorno.
Era un ambiente di gente bassa in condizioni precarie, e io stessa mi sentivo piuttosto depressa, così, forse, mi trovavo al posto giusto. La maggior parte delle modelle non fingevano neppure di essere attrici: erano tutte prostitute, o sul punto di diventarlo. Arrivavano allo studio, sempre in ritardo, in nuvoloni di profumo da supermercato, scrivevano un nome falso sulla liberatoria e si spogliavano. Cominciavamo colle riprese più innocenti, per le copertine: modelle con un bambolotto di Babbo Natale per i numeri di dicembre, o con un pallone da spiaggia leggermente sgonfio per quelli di luglio. Poi, dopo che io avevo regolato i riflettori e il volume della radio, si passava a foto che non smettevano di disturbarmi. Io guardavo la parete o il soffitto, ascoltando i complimenti orribilmente falsi che facevano sì le ragazze rimanessero sorridenti fino alla fine.
Era una vita strana e alla rovescia, di notti di lavoro surreale nella città silenziosa, e di giorni vacui passati a dormire. Non cercavp nessuno, e nessuno sapeva dov’ero. Quando non riuscivo a dormire stavo a letto e componevo lettere mentali a tutti quelli che odiavo - ai miei genitori per aver progettato un matrimonio così stupido, al mio ragazzo perché mi aveva lasciata, a tutti quelli che ci avevano visto insieme e avevano creduto che fossimo innamorati. Oppure mi alzavo e facevo una doccia, ove inevitabilmente cominciavo a piangere, chiudevo l’acqua e mi abbassavo singhiozzando, finché non mi riprendevo per ritrovarmi seduta nuda sulle piastrelle, coi capelli asciugati in cernecchi.
Per tanto tempo, ogni volta che ebbi bisogno che qualcuno mi abbracciasse, non ci fu proprio nessuno.